L’intervento dell’europarlamentare sulla questione dei contagi nella comunità Rom e sulle responsabilità del caso.
In questi mesi di grave emergenza sanitaria ed economica ho cercato di ridurre al minimo le mie dichiarazioni pubbliche. L’ho fatto per #rispetto dei nostri concittadini che hanno perso la vita a causa del contagio, per le tante famiglie che stanno vivendo una situazione di sconforto ai limiti della disperazione, per i #lavoratori in attesa della cassa integrazione e, più in generale, per tutto il mondo produttivo ed economico alle prese con problemi, difficoltà e un senso di incertezza che ne sta compromettendo la tenuta. Il timore (che temo diventi presto certezza) è che la #crisi economica con cui dovremo fare i conti nei prossimi mesi sarà non meno devastante di quella sanitaria che ci ha costretti in casa per tutto questo tempo.
Occorre dunque fare i conti con la realtà, programmare il futuro, reinventare il nostro modo di stare insieme, di produrre, di occuparci gli uni degli altri. E nel farlo non può esserci spazio per le #polemiche inutili, per la propaganda politica, per il mero calcolo elettorale. Ecco perché nel momento più #drammatico della nostra storia dal secondo dopoguerra ho creduto doveroso non farmi tirare per la giacca da nessuno, nonostante in molti ci abbiano provato. Ho pensato alle cose serie, insomma, nella ferma #convinzione che il momento fosse tale da richiedere il massimo impegno e la massima serietà da parte di tutti, in particolar modo da chi ricopre incarichi politici di rilievo.
Ecco perché sono rimasto sinceramente stupito, per non dire esterrefatto, leggendo le dichiarazioni rilasciate in queste ore da parte di esponenti di qualche movimento politico che parlano di sciacallaggio a proposito delle critiche espresse sulla vicenda del focolaio verificatosi a #Campobasso. Sono gli stessi che solo qualche settimana fa, con conferenze stampa, interviste, dichiarazioni pubbliche e dirette sui social network, richiedevano a gran voce l’istituzione della zona rossa per quei Comuni molisani, come #Riccia, #Venafro e #Pozzilli, dove i contagiati si contavano, complessivamente, sulle dita di una mano. Eppure, in quel caso, non mi pare di ricordare atteggiamenti comprensivi e collaborativi né, men che meno, appelli alla concordia. Ci sarebbe da ridere, insomma, se la situazione non fosse invece drammaticamente seria.
Perché ciò che è accaduto a Campobasso è terribilmente serio, purtroppo. Sia per l’entità del #contagio in sé, sia per la difficoltà di ricostruire la catena epidemiologica all'interno della comunità rom, sia perché il focolaio è esploso in un momento in cui in quasi tutte le Regioni la curva del contagio sembra affievolirsi in maniera incoraggiante, sia, in ultimo, per il rischio che tale situazione rallenti ancora di più la cosiddetta #fase2 compromettendo in maniera drammatica le speranze di far ripartire l’economia della nostra Regione nel malaugurato caso in cui dovesse essere “chiusa” nuovamente. Il “caso Campobasso”, insomma, è salito alla ribalta nazionale, ripreso in prima istanza dalla Rai, per questi fatti e non certo per le critiche e le dichiarazioni, più che legittime, espresse dal Presidente Silvio Berlusconi e dall’On.le Annaelsa Tartaglione.
Non si tratta di andare alla ricerca di un colpevole, ma di tutelare la salute e la vita dei campobassani: una preoccupazione più che comprensibile. Le parole di #Berlusconi e gli interventi pubblici di Annaelsa Tartaglione sono serviti ad accendere una luce obiettiva su un problema reale, serio: una testimonianza di affetto e preoccupazione nei confronti di un territorio oggettivamente a #rischio, cosa ben diversa dagli attacchi qualunquistici e demagogici dei mesi scorsi portati avanti per casi in cui non era necessario farlo. Bene hanno fatto, quindi, il Presidente Berlusconi e Annaelsa Tartaglione a parlare della vicenda, segno di una vicinanza e di un impegno nei confronti del Molise portato avanti con passione e spirito di servizio.