Dopo tre mesi dalla riunione della Cal ‘secondo Toma’, finalmente mi è stato recapitato il verbale della riunione del 25 novembre 2019 della Conferenza regionale delle Autonomie locali , che è cosa ben diversa dal Consiglio delle autonomie locali, previsto dall’articolo 123 della Costituzione italiana, così come modificata nel 2001, dall’articolo 64 dello Statuto regionale e oggetto di una mia proposta di legge licenziata dalla Prima Commissione l’8 luglio scorso.
Il presidente Toma, che è a capo della Conferenza regionale delle Autonomie locali il cui acronimo è naturalmente motivo di equivoci, e i componenti di quest’ultima che viene chiamata Cal ma nei fatti non lo è, hanno deciso di rinviare la proposta di legge in Commissione per acquisire “ulteriori documenti per approfondire l’oggetto della proposta”.
Ma gli unici documenti che forse dovremmo inviare a Toma sono la Costituzione italiana e lo Statuto regionale, che dovrebbe conoscere bene.
Con la proposta di legge, ho chiesto l’istituzione e la disciplina del Consiglio delle Autonomie locali, organo di consultazione tra la Regione e gli Enti locali che ha lo scopo di favorire l’intervento diretto di questi ultimi nella definizione e nell’attuazione delle politiche regionali.
Il Cal, quello vero, rappresenta la sede di dialogo, di raccordo e consultazione permanenti tra la Regione da un lato e le province, i comuni e le Unioni dall’altro, nonché il luogo di rappresentanza unitaria degli enti locali: ha come obiettivo la formazione di un sistema integrato e coordinato nel quale interagiscono i diversi soggetti istituzionali.
Il Molise è l’unica regione che ancora non ottempera al dettato costituzionale, a 19 anni di distanza dalla revisione del Titolo V del 2001, che impone una cooperazione tra livelli di governo capace di garantire, contemporaneamente, l’unità dell’ordinamento giuridico e l’eliminazione di ogni chiusura particolaristica.
Evidente la rilevanza del Cal, quello vero: è lo strumento che gli enti locali possono utilizzare per far sentire la propria voce a livello regionale. Il caso recente di Campitello Matese e Capracotta, con le criticità sollevate dai sindaci dei due comprensori sciistici, è la prova lampante che l’assenza di questo strumento provoca e reitera la fastidiosa prassi della politica regionale che ascolta ‘i figli’ e rinnega ‘i figliastri’.
I Comuni dotati di peso politico, perché vicini al governatore di turno, continuano ad interloquire, direttamente e ‘vantaggiosamente’, con gli esponenti politici che decidono, mentre gli altri Comuni, quelli che rientrano nella categoria dei ‘figliastri’ perché privi della necessarie aderenze politiche, continueranno a non avere canali istituzionali che consentano loro di instaurare un dialogo proficuo con gli organi regionali.
Nella Cal ‘secondo Toma’, il governatore che lo presiede ha diritto di voto e quindi decide e incide sulla decisione da adottare. Nel Cal secondo la Costituzione e lo Statuto regionale, il presidente della Regione può partecipare alla sedute ma senza diritto di voto: quindi la sua ingerenza politica sull’autonomia decisionale degli Enti locali si limita all’influenza che potrebbe avere sul singolo amministratore.
L’avere rinviato la proposta di legge per consentire ulteriori verifiche sulla Costituzione e lo Statuto regionale, nonostante la collaborazione della Commissione consiliare competente e dei sindaci che hanno preso parte alle audizioni, rappresenta l’ennesima dimostrazione dell’assoluta mancanza di attenzione nei confronti delle voci provenienti dal territorio e il tentativo di non cedere alcuna autonomia decisoria agli Enti locali, in una collaudata logica patronalis.
Ma i nodi verranno al pettine con il consiglio monotematico sulla perimetrazione del Parco Nazionale del Matese, oggetto di una delibera di giunta regionale plasmata secondo il solito criterio dei figli e dei figliastri.