Fin troppo chiara la strategia che le minoranze consiliari intendono adottare, anche in legislatura: spostare l’attenzione dallo scenario, preoccupante e che richiede azioni forti e concrete, che la Regione sta affrontando in un momento assai delicato come tutti sappiamo bene. E mi riferisco alla difficile e complicatissima fase di approvazione del Bilancio che vede la maggioranza al lavoro, in silenzio e a testa bassa, perché si chiuda definitivamente questo capitolo e si possa cominciare concretamente ad essere operativi. Concentrarsi su argomenti che sono utili a conquistare un po’ di visibilità è argomentazione conosciuta, sempre identica, e che ormai non fa nemmeno più presa sui cittadini che hanno ben chiara la differenza tra parlarsi addosso e agire concretamente.
I molisani si aspettano da questo governo regionale risposte, visione programmatica e strategica, azioni concrete di largo respiro. Fatti e non azioni diversive che subito si rivelano per quello che sono: fumo negli occhi, testimonianze a futura memoria di esistenza politica. Nelle legittime differenze che marcano l’agire politico di chi oggi è al governo regionale e di chi siede all’opposizione, non posso fare a meno di rimarcare alcune considerazioni che sono tutte di ordine pratico. E che ritengo anche i molisani abbiano fatto, dopo aver letto i giornali.
Partiamo dal dibattito sul salario minimo che ha occupato larga parte dei lavori del Consiglio regionale di martedì scorso. In agenda, ricordo a me stessa e ai miei colleghi, c’erano sette punti da trattare e siamo riusciti ad affrontarne solo quattro, tra discussioni a volte surreali che si sono concentrate persino sulle virgole. Due gli atti presentati in merito. E da chi? Dal Movimento Cinque Stelle e dal Pd, entrambi forza di governo e alleati. Quindi, a rigor di logica, entrambi avrebbero potuto, insieme e senza alcun ostacolo politico avendo i numeri per farlo, dare forma e sostanza alla proposta che oggi agitano come unica risposta alle emergenze che vive il Paese e, di conseguenza, anche il Molise.
Mi chiedo come mai, fino a quando hanno governato insieme, il tema non sia mai entrato
nell’agenda politica, come mai non sia stato avvertito come irrinunciabile e come primo atto di un cambio di passo che oggi si vuole imporre portando la discussione nelle assemblee regionali.Eppure, la crisi reale e avvertita che oggi ‘sostiene’ la proposta di salario minimo, non è affatto recente. Conseguenza dell’emergenza pandemica, delle difficoltà successive che hanno coinvolto i mercati, le aziende e il mondo del lavoro. Al governo c’erano già loro. Cinque Stelle e Pd. La crisi già c’era, il salario minimo forse era già la soluzione, mai avvertita mi pare. La mia idea è che oggi sia maggiormente necessario, anzi indispensabile, aprire un confronto sulle soluzioni da proporre per le emergenze vere che vive il Molise: le famiglie si sostengono attraverso le opportunità occupazionali, attraverso la presenza di aziende che creano, offrono lavoro e sviluppo, attraverso le azioni da attuare perché le imprese scelgano il Molise, perché non chiudano i battenti. Concentrarsi su questo, ritengo sia la modalità corretta per costruire il futuro della regione e di chi ci vive. Questione Roxy. Un mostro in cemento armato all’ingresso della città capoluogo, un monumento al degrado per il quale andava trovata una soluzione fattibile, reale. Quella individuata dalla Giunta regionale che ha inserito quel rudere nel piano delle alienazioni con l’obiettivo, duplice, di realizzarne una Casa per lo Studente che sia a servizio degli universitari che scelgono Campobasso e il Molise. Doppio obiettivo, quindi, che è anche di prospettiva. Per le minoranze non sarebbe la soluzione: più semplice, ovviamente, continuare a battersi per un progetto che non potrà mai essere realizzato invece che ragionare su una possibilità che consenta realmente il recupero di una struttura ormai fatiscente, di una zona della città depauperata dalla sua presenza. Individuare questa soluzione rende attrattiva la città, aggiunge altro valore alla sua Università. Significa dare ossigeno al tessuto economico. Il confronto, la discussione sono ovviamente terreno democratico da praticare sempre. Contingentare i tempi degli interventi in Aula – altro tema sul quale le minoranze hanno alzato le barricate -, adeguandoli a quelli delle altre Istituzioni italiane ed europee non è imbavagliare le opposizioni quanto il mezzo per velocizzare l’adozione dei provvedimenti.
Si può discutere dei provvedimenti in altre sedi, come ad esempio nelle Commissioni consiliari. Il
confronto e il dibattito sono garantiti, ovviamente.
E si può argomentare il proprio punto di vista anche in dieci minuti se, ovviamente, si conosce
l’argomento e si ha ben chiaro quello che si vuole dire. Certo, la vetrina mediatica, per chi ne ha fatto ragione di vita, ne risentirà. Ma sono certa che ne
guadagnerà la speditezza dell’azione di governo che ha bisogno di ingranare la marcia su temi che
richiedono velocità, intraprendenza e visione.
Stefania Passarelli.
Vicepresidente Consiglio regionale del Molise
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