I decreti ministeriali dell’8 marzo e dell’11 marzo con le ultime direttive non hanno sciolto il nodo che coinvolge oltre 20mila sedi operative aperte in tutta Italia di Caf, patronati e centri di assistenza agricola che erogano servizi ai cittadini e alle aziende. Di questi strumenti a disposizione di un’ampia utenza non c’è menzione.
“Noi abbiamo 2.300 sedi sul territorio nazionale, con 1.700 dipendenti e qualche migliaio di operatori. E a livello territoriale riscontriamo situazioni differenti da comune a comune – spiega Domenico Mamone, presidente dell’Unsic, unione nazionale sindacale imprenditori e coltivatori, che ha raccolto centinaia di segnalazioni dalla chat interna.
“Pur coscienti del nostro ruolo essenziale nel supportare la cittadinanza negli adempimenti quotidiani, vorremmo però anteporre le esigenze sanitarie e quindi chiudere tutto. Questo ci chiedono dai territori locali. Ma è una decisione che non possiamo prendere in autonomia. Stiamo scrivendo ai ministeri per sollecitare interventi immediati e indicazioni in quanto siamo esposti notevolmente. In alcune situazioni le autorità locali contestano le aperture, emettendo anche multe, mentre in altre ciò non avviene”.