Pubblichiamo volentieri un ricordo del giovane venafrano scomparso nei giorni scorsi.
Francesco Giampietri, storico della filosofia e scrittore, è prematuramente venuto a mancare nei giorni appena trascorsi all’affetto dei suoi familiari e dei suoi molti amici. Era nato a Venafro nel 1983 e di lì era partito, sempre facendovi ritorno, per costruirsi un profilo accademico notevolissimo: dopo la laurea a pieni voti in Filosofia a Cassino, aveva brillantemente conseguito nel 2013 il dottorato a Tor Vergata con una tesi subito pubblicata per i tipi di AlboVersorio. Nel 2012, per Mimesis, aveva pubblicato una curatela di scritti leibniziani inediti. Già collaboratore del CNR e dell’Università di Roma Tre, era docente di Filosofia Moderna e Storia del Pensiero Contemporaneo presso l’Ateneo di Cassino. Ha contribuito, tra l’altro, alla stesura de La Filosofia e le sue storie di Umberto Eco. Amava definirsi “spacciatore a piede libero di libri e di idee” e tale era effettivamente per il suo impegno inesauribile nella promozione della cultura e del bello. Del 2017, per L’Erudita, il suo primo libro per tutti, Lettere e Disarmonia. Quello che segue è il ricordo corale e commosso di tre suoi giovani amici: Gianmarco, Rocco e Paolo, una parte di quell'esercito di ragazzini che secondo lui avrebbero salvato il mondo.
I ricordi delle persone care non appassiscono rapidamente, ricordo quella sera, un concerto, Claudio Lolli che suonava "ho visto anche degli zingari felici", una delle tue preferite. Quell'evento pieno di arte e di musica ci unì in una profonda amicizia. Io, sedicenne, ti invitai subito, da rappresentante d'istituto, in quello che anni addietro fu il tuo liceo, sapendo benissimo che avresti potuto donare ai miei compagni che stavano attenti ad ascoltare te e il tuo Leibniz, una diversa visione della filosofia rispetto a quella maturata da noi studenti sui manuali tristissimi.
Quel giorno cambiasti l'esistenza
di moltissimi ragazzi, gli stessi che poi ti seguirono di associazione in associazione, di evento in evento, fino a diventare un punto di riferimento per loro.
Perché come amavi ripetere "il mondo sarà salvato dai ragazzini". E tu hai avvicinato un esercito di persone alla poesia, alla filosofia, all'arte alla letteratura con la speranza che salvassero il mondo con la bellezza.
Oggi posso dire soltanto che una missione tanto grande sarà di certo più ardua in tua assenza.
Però i tuo pensieri, i libri scritti, i racconti di chi ti ha conosciuto saranno marcati di eterno e continueranno a diffondere vita e bellezza.
Intanto vorrei salutarti ma non ti dico addio perché adoravi citare Tondelli:
"Non mi piacciono gli addii, ho imparato a scantonarli; non esiste nulla di definitivo figuriamoci gli addii e i fazzoletti e le strizzate di mano."
Gianmarco Cimorelli
Come annotava Papini, e come Francesco sapeva, «la grandezza consiste nel saper vedere le cose piccole, proprio quelle che gli stolti credono cose da nulla». Ora, a me, tornano alla mente proprio le cose piccole, quelle consegnateci dal caso e da noi subito raccolte. Mi tornano alla mente i tanti viaggi condivisi da Roma: lui, all’epoca dottorando, rientrava dai suoi impegni di ricerca a Tor Vergata e io, matricola di Lettere, tornavo dai miei convegni o dalle mie incursioni per biblioteche e librerie a Roma.
Ci ritrovavamo casualmente a percorrere la strada che separa a Termini i treni per il resto del mondo dai treni per quella che Francesco chiamava la terra che forse esiste, quindi prendevamo posto accanto nel vagone in cui ci saremmo fatti compagnia per le due ore avvenire. Francesco credeva, secondo quanto affermava uno dei suoi scrittori preferiti, che «la meta del viaggio sono gli uomini» e, per questo, faceva di quei viaggi in treno l’occasione per consolidare rapporti già nati, intessere relazioni estemporanee, posare gli occhi sulle vite che affollavano il vagone, forse immaginare l’universo che abitava e agitava i singoli viaggiatori, cercare intorno affinità elettive: come il viaggiatore di Vittorini che rientra nella sua Sicilia il viaggio era per Francesco un pretesto per afferrare le conversazioni altrui e dare vita a conversazioni nuove, gettando lo sguardo su un mondo che «è grande ed è bello, ma è molto offeso». Da uno di quei viaggi, io rientravo riportando con me il vocabolario di Petrocchi per Treves del 1900, appena acquistato e avvolto nella carta di giornale, e Francesco, avidissimo di scoprire cosa nascondesse quella confezione di fortuna, lasciò rotolare a terra il primo dei due tomi danneggiandone l’ancoraggio. Quello strappo nel libro rimarrà per me, sempre e per sempre, il souvenir di un incontro speciale e di un’amicizia che è stata un privilegio: sarà, come il passaggio di Francesco nelle nostre vite, una cicatrice indelebile, «ciò che avviene quando la parola si fa carne».
Rocco Viccione
Ricordo un treno diretto in Sicilia, un paio di cuffiette condivise, Francesco che mise “Stranizza d’amuri” di Battiato. Fu, quello col cantautore siciliano, un incontro per me folgorante, che ha segnato indelebilmente la mia vita sino ad oggi e per gli anni a venire. Se ci penso, non riesco a contare gli infiniti modi in cui Francesco ha determinato il corso della mia esistenza - senza far rumore, ma sempre, con costanza, ad ogni nuovo incontro. Ma questo non è accaduto solo con me: sono innumerevoli le persone che hanno avuto la gioia di vedere Francesco entrare nelle loro vite, sempre in punta di piedi, ma donando tutto se stesso con una gentilezza d’animo senza pari.
A ben pensarci, lui era proprio come il protagonista della canzone che che volle condividere con me, lungo il tragitto verso quella Sicilia che tanto amava. Canta Battiato del sorgere di un amore che prorompe dalle ossa, che, “ccu tuttu ca fora c’è a guerra”, mai si spegne e continuamente cresce, inarrestabile.
Così era Francesco, e non lo era nei confronti di una singola persona: il suo era un amore universale, verso chiunque avesse al suo fianco - e anche chi gli era più lontano lui cercava di ravvicinarlo, convinto che nessuno fosse perduto a se stesso. Non contava se il mondo stesse andando in macerie; lui era sempre lì, senza calcoli, a donare il proprio amore al prossimo con quella virtuosa fermezza che era la consapevolezza di una battaglia da dover intraprendere, prima di tutto nel quotidiano. Anzi, infinite battaglie, che Francesco ha combattuto sino alla fine.