La stimolazione bioelettronica del nervo vago può influenzare, attraverso la milza, l’attività di specifiche cellule del sistema immunitario implicate nel danno di organo da ipertensione
Oltre agli interventi farmacologici, potrebbe essere possibile ridurre le complicanze dell’ipertensione arteriosa anche con impulsi elettrici applicati su una particolare branca del nervo vago. Si apre così una prospettiva nuova contro un problema che colpisce un miliardo di persone in tutto il mondo. Sono i risultati di una ricerca condotta, su modelli animali, dal Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicata sulla rivista scientifica Cell Reports.
I ricercatori del Neuromed sono partiti dal ruolo che il sistema immunitario svolge nella genesi e nello sviluppo della pressione arteriosa elevata. Al centro c’è la milza: è qui che specifiche cellule immunitarie, i linfociti T, vengono attivate per poi liberarsi nel sangue e migrare verso gli organi tipicamente colpiti dall’ipertensione (“organi bersaglio”). In questo modo, da una parte contribuiscono all’eziologia della condizione ipertensiva stessa, e dall’altra provocano i relativi danni. Ma proprio questo processo di attivazione, come avevano già dimostrato precedenti lavori scientifici dello stesso Dipartimento, è frutto dell’interazione tra il sistema nervoso parasimpatico e quello simpatico, che compongono insieme il sistema nervoso autonomo, realizzata tra il nervo vago celiaco e il nervo splenico.
“Con questa ultima ricerca – dice l’ingegner Lorenzo Carnevale, primo firmatario del lavoro scientifico - abbiamo prima di tutto osservato che l’Angiotensina II (AngII, ormone molto importante nel controllo della pressione arteriosa, ndr) è capace di aumentare gli impulsi nervosi che, attraverso la branca celiaca del nervo vago, vanno a stimolare l’attivazione dei linfociti T nella milza. Ma lo stesso effetto lo abbiamo ottenuto applicando allo stesso nervo degli impulsi elettrici di particolare frequenza e ampiezza”.
Un intervento bioelettronico, in altri termini, riesce a modulare l’attivazione linfocitaria nella milza. “Il nostro è un primo passo – dice ancora Carnevale - che ci dimostra come sia possibile agire elettricamente, senza farmaci, su alcuni meccanismi fondamentali dell’ipertensione per prevenire i danni da essa causati. La strada che ora ci si apre davanti è quella di individuare tecniche specifiche di stimolazione bioelettronica capaci di influenzare in modo terapeutico l’attività del sistema immunitario nella milza”.
“Con l’ipertensione arteriosa – commenta Giuseppe Lembo, Professore nella Facoltà di Medicina dell'Università "La Sapienza" di Roma e Direttore del Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale – siamo di fronte a un enorme problema di salute pubblica contro il quale, nonostante l’utilizzo delle terapie attualmente disponibili, spesso non si raggiunge un controllo ottimale dei livelli pressori. Questa ricerca, che naturalmente avrà bisogno di studi ulteriori per trovare applicazioni pratiche, ci indica la possibilità di sviluppare una terapia completamente nuova, non farmacologica, che potrebbe aiutare molti pazienti”.