Celebriamo la Festa della Repubblica di domani, giovedì 2 giugno 2022, in un periodo in cui non possiamo non pensare alla crisi socio-economica che riguarda tutti i Paesi.
Il mondo esce dalla pandemia che, oltre alle perdite umane registrate, ha acuito le differenze economiche all’interno delle varie popolazioni. E tutte le Nazioni, da oltre tre mesi, guardano con preoccupazione alla guerra in Ucraina, per la quale, se da un lato, regna la paura di una pericolosa estensione del conflitto; dall’altro, costringerà l’Unione Europea e i Governi ad assumere importanti decisioni, al fine di far fronte alle conseguenze economiche mondiali derivanti dalla guerra.
In un quadro geopolitico ed economico tutto in divenire, la Festa della Repubblica Italiana assume un valore ancor più grande di quello che già di per sé riveste.
Come non ripensare alla lungimiranza dell’allora classe politica e dirigente che, uscita dal ventennio fascista e dalla Seconda Guerra Mondiale, favorirono le condizioni, affinché fossero i cittadini a scegliere la forma di Stato.
Il 2 giugno 1946 i cittadini scelsero la Repubblica, il cui voto fu il risultato di un processo complesso, per il quale l’Italia non solo diventò una Repubblica, ma si posero le basi, sancite poi dalla Costituzione, dei principi della democraticità, della sovranità popolare, dell’uguaglianza, della libertà religiosa e del ripudio della guerra quale strumento di offesa.
Tutti questi principi ebbero portarono con sé una coesione del territorio nazionale senza precedenti, basata sulla libertà, la pace e la democrazia.
La Festa delle Repubblica, inoltre, ci ricorda anche come compito delle istituzioni, in un clima così difficile, sia quello di lavorare per infondere nei cittadini quel clima di fiducia nei confronti della classe politica e dirigenziale, che deve rappresentare le istanze della popolazione, guardando sempre all’interesse collettivo e mai del singolo.
Ripartire da un clima di fiducia per cercare di regalare alle generazioni più giovani un clima di pace, così come quello che noi abbiamo ereditato dagli attori istituzionali del Secondo dopoguerra.